Prof. Lucio Lucchin - Recuperare il modello alimentare mediterraneo, a maggior ragione in tempi di crisi

Viviamo tempi difficili, espressione di una profonda frattura del paradigma socio-culturale della società occidentale. Se ne uscirà, pertanto, solo in tempi medio lunghi e a patto che ci sia la capacità di recuperare valori fondanti condivisi.
Ci saranno conseguenze per la nostra alimentazione e salute?
No se si sfruttasse il patrimonio disponibile come quello della dieta
mediterranea. 8 italiani su 10 ritengono di conoscerla, ma in realtà si è
molto lontani da questo obiettivo sia in termini concettuali che,
soprattutto, applicativi. Addentrarsi nel modello mediterraneo,
significa recuperare una visione olistica dell’individuo e del suo
comportamento alimentare, visto l’embricarsi di molteplici fattori, vuoi
di ordine squisitamente nutrizionale, che psico-socio-culturale che di
ordine ecologico-ambientale, che, infine, di ordine economico.
L'essenza di questo comportamento alimentare , ampiamente radicato da
forti radici storiche, va ricercata in un giusto equilibrio tra lavoro ,
tempo (adeguatamente ripartito fra impegni e relax. Si pensi alla
siesta, utile se inferiore ai 50 minuti, ma quasi totalmente
abbandonata), buona tavola (condividendo cibi freschi e sani) ,
convivialità e, non ultimo per importanza, ottimismo nella vita. E
l’attuale “povertà “di tempo disponibile rende sempre più instabile l’
equilibrio interiore, con gli altri e con l’ambiente, spingendo verso
una deriva di solitudine.
I dati oggi disponibili orientano inequivocabilmente verso il recupero
della mediterraneità, intesa, sotto l'aspetto nutrizionale, come
assunzione sobria degli elementi cardine: cereali, specie integrali,
vegetali specie legumi, olio di oliva, vino a basse dosi. Questo
recupero concilierebbe anche con le difficoltà economiche del momento,
visto che l'acquisto degli alimenti nella quantità e qualità necessaria
permetterebbero un sensibile risparmio rispetto alla spesa attuale, ma
il condizionale è d'obbligo se si considera il livello d' inosservanza
di tale regime alimentare. Inoltre, permetterebbe il recupero del
rapporto con il proprio territorio per calmierare il dubbio circa i
prodotti di provenienza extra-locale, specie se di origine industriale.
Una conseguenza positiva consisterebbe nella riduzione del conflitto,
per altro in crescita, tra il desiderio di mangiare più sano (l'ansia
nei confronti della purezza di un cibo ha radici ancestrali) e il non
riuscirci.
Pur non ritenendo consolante ricorrere al caso ( rappresentato
dall'attuale contingenza economica ) piuttosto che ad una strategia
consapevole, per recuperare aspetti culturali dell'identità nazionale
sempre più marginalizzati dalla globalizzazione e riportare lo stato
nutrizionale a livelli più “fisiologici”, è meglio fare buon viso a
cattivo gioco. Il modello alimentare mediterraneo allunga la vita, ciò
nonostante non garantisce il raggiungimento del limite biologico di
sopravvivenza ne, tantomeno, l'assenza di patologia e disabilità negli
anni che ci sono dati a vivere, perché numerose e in parte ancora poco
note sono le variabili in gioco.
L'avanzata della patologia cronica impone un rapido cambiamento di
paradigma circa il modo d'intendere e intervenire in ambito di salute
pubblica.
Dal dopoguerra ad oggi le porzioni degli italiani sono aumentate del
30-40% (da 2.500 a 3.300 kcal/die), con un impoverimento progressivo
delle proteine di origine vegetale e dei carboidrati complessi. E questo
nonostante la diminuzione del lavoro fisico, la disponibilità dei mezzi
di trasporto e l'aumento dell'età media della popolazione, abbiano
portato ad una notevole riduzione del dispendio energetico. La
frugalità, regola aurea per vivere bene ed a lungo, è allora contrastata
dall'attuale impostazione socio-culturale, che rende disponibile molto
cibo e dalla programmazione genetica che ci rende difficile rifiutarlo
quando presente.
L'eccesso alimentare ha una fastidiosa ricaduta anche in termini di
scarto. Quale il significato profondo di gettare quotidianamente il 30%
del cibo acquistato dalle famiglie, o le 240.000 tonnellate di alimenti
che annualmente restano invenduti nei retrobottega dei punti vendita?
Tra i fattori in gioco, sicuramente il poco tempo da dedicare alla
spesa, alla preparazione e alla conservazione dei cibi, ma anche per il
recupero di ciò che resta. Sono i single (circa 1/4 dei nuclei familiari
censiti) a buttare di più , costretti spesso ad acquisti eccessivi per
la mancanza di formati adeguati. Sono sempre loro, poi, a mangiare
spesso fuori casa dimenticando il contenuto del frigorifero e le
confezioni aperte in scadenza. E pensare che proprio la necessità di
riutilizzare gli avanzi ha dato origine, nelle diverse gastronomie
regionali, a tanti piatti gustosi e pieni di fantasia, oggi simboli
della cultura del gusto locale, come la ribollita toscana, i canederli
trentini, la pinza veneta o, al sud, la frittata di pasta, e ancora
polpette o polpettoni a base di carne o tartare di pesce, pasta
riscaldata e pancotto con un filo d'olio extra vergine di oliva e il
pecorino. Questo è sicuramente un aspetto da recuperare. Il progressivo
ricorso a turni di lavoro e l'ampia variabilità nelle pause lavorative
richiedono un ripensamento anche in termini di consigli da fornire e
programmazione dei pasti più idonei.
Dovremmo quindi recuperare il tempo, ma anche una certa dose di
ritualità per il confezionamento (circa 35 minuti per il pranzo e 33 per
la cena) e consumo dei pasti. Si ridurrebbero di conseguenza gli
sprechi e si risparmierebbe fino a 5 volte rispetto al consumo di piatti
pronti.
I principali ostacoli al mangiare in modo sano e nutriente sembrano essere:
- l'eccessivo tempo da dedicare alla scelta ed alla preparazione di un pasto
- il mancato controllo sugli alimenti consumati, perché acquistati o preparati da altri
- la considerazione che il cibo sano sia poco appetibile
- la mancanza d'informazioni riguardo a che cosa compone una dieta sana ed alla confusione e contraddittorietà generata dalle indicazioni presenti sugli alimenti
- il crescente individualismo nel rapporto con il cibo.
Un caposaldo del regime alimentare mediterraneo è la forte base vegetale anche in termini di biodiversità. Il recupero di quest'ultima è quanto mai auspicabile sia perché le evidenze degli effetti nell'individuo dei singoli principi attivi isolati dal vegetale sono risultate insoddisfacenti, sia perché è sempre meglio documentato come l'epigenoma (complesso di proteine che regola l'espressione dei geni) risulti sensibile allo stile di vita e ai fattori ambientali, sia perché si sta facendo strada la teoria che piccole dosi di fattori attivi contenuti nei vegetali (es.antiossidanti), possano agire come mimetici di sostanze tossiche, provocando una reazione difensiva positiva da parte dell'organismo (para-ormesi).
Nel recupero del modello mediterraneo non va però mantenuta una rigidità storico-antropologica; ogni modello alimentare evolve permettendo il ridimensionamento di alcuni luoghi comuni,come ad es. quello della frittura, che se effettuata con olio di oliva o di girasole darebbe una bassa correlazione positiva con le malattie cardiache.
Quanto mai urgente il recupero della capacità dei genitori, ma non solo, di essere d'esempio per le generazioni più giovani. La crescente errata tendenza alla delega istituzionale (es.alla scuola) sta di fatto facilitando la diffusione di stili di vita errati.
In conclusione, appare oramai chiaro come il modello mediterraneo, o mediterraneità come dir si voglia, sia un insieme complesso, da affrontare in modo differente dal semplice approccio riduzionistico (la ricerca della molecola che ci permette di spiegare il tutto). Con lo studio della complessità vengono superate le barriere tra scienze esatte e discipline umanistiche . Ma dove sta la soglia della complessità? Sta laddove diventa impossibile scorporare i vari componenti dell'insieme senza distruggerlo.